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La disciplina fiscale delle Controlled Foreign Companies (CFC) dal 2016


La circolare n. 35/E del 04/08/2016 dell'Agenzia delle Entrate ha chiarito alcuni punti controversi della normativa sulle CFC, recentemente rinnovata dal Decreto Internazionalizzazione e poi dalla Legge di Stabilità 2016.

PRESUPPOSTO PER L'APPLICAZIONE DELLA NORMATIVA RELATIVA ALLA CFC è IL POSSESSO (inteso come controllo diretto o indiretto) DI REDDITI CONSEGUITI IN UNO STATO ESTERO, prevedendo un regime di tassazione per “trasparenza” in capo al socio residente in Italia, dei redditi realizzati dalle sue controllate estere domiciliate in Stati con regime fiscale privilegiato, indipendentemente dalla effettiva percezione degli stessi. Il Paese estero, inoltre, non necessariamente dovrà essere ricompreso tra quelli a fiscalità privilegiata.

Quindi, la localizzazione della controllata in uno Stato o territorio a regime fiscale privilegiato implica, di per sé, la presunzione di elusività della partecipazione. Tale presunzione può essere superata interpellando l’Amministrazione finanziaria oppure dimostrando che il carico fiscale è almeno pari al 50% di quello che sarebbe stato scontato laddove la controllata fosse stata residente in Italia.




La ratio della norma sulle società estere controllate è da individuarsi nel contrasto alla delocalizzazione in Paesi a fiscalità privilegiata di attività prive di qualsiasi radicamento con i territori medesimi. La norma, quindi, attrae e tassa per trasparenza i redditi conseguiti dalla partecipata estera indipendentemente dalla loro distribuzione.

Il nuovo dettato normativo prevede che siano assoggettate a questo regime le partecipazioni di controllo di un'impresa che sia localizzata in un Paese con un livello nominale di tassazione inferiore al 50% di quello applicabile in Italia, restando esclusi gli Stati appartenenti alla UE con i quali il nostro Paese abbia stipulato accordi di scambio effettivo di informazioni. A tali Paesi, cosiddetti white list, si applicherà comunque una CFC rule "non Black list". L'estensione della normativa CFC anche alle controllate estere localizzate in Paesi non a fiscalità privilegiata (ad esempio UE), sarà effettuata qualora congiuntamente risultino soddisfatti i seguenti requisiti:

• il livello effettivo di tassazione del soggetto controllato estero è di oltre il 50% inferiore a quello cui sarebbe assoggettato se fosse residente in Italia;

• oltre il 50% dei suoi proventi deriva dalla gestione titoli, finanziamenti, diritti immateriali prestazioni servizi infragruppo.


La CFC potrà essere disapplicata se ,e solo se, la società residente dimostri, alternativamente, una delle seguenti circostanze (esimenti):


a) che la cfc svolga, in via principale, nello stato o territorio nel quale ha sede, una effettiva attività industriale o commerciale; b) che dalle partecipazioni possedute non consegue l’effetto di localizzare i redditi in Stati o territori in cui sono sottoposti a regimi fiscali privilegiati.


In merito alla lett. a), con il nuovo dettato normativo, l'investitore italiano avrà la necessità di dimostrare non solo la mera disponibilità in loco di una struttura organizzativa, ma anche la presenza di ulteriori fattori di connessione con lo Stato di insediamento, dimostrando che si sta partecipando in maniera stabile e continuativa alla vita economica dello Stato in cui ci si è insediati.


Alla luce di quanto sopra esposto la riflessione che viene da fare è la seguente.

Certamente, dal 2016 più che mai, sarà fiscalmente meno "invasiva" sull'imponibile della controllante residente in Italia, la scelta dell'apertura di una filiale estera (Branch) piuttosto che di una società avente una personalità giuridica propria (Subsidiary/CFC). Questo perché nel caso della filiale estera potrei optare per la Branch Exemption , nuovo istituto di diritto tributario che vedremo in uno dei prossimi post con la quale il fisco italiano concede l'Esenzione degli utili e delle perdite delle stabili organizzazioni di imprese residenti. Ma non dimentichiamo l'aspetto puramente commerciale. In alcuni Paesi del mondo, vedi solo per citarne alcuni, U.S.A. o Emirati Arabi Uniti, penetrare il mercato locale con una branch è pressoché impossibile, e il nostro processo di internazionalizzazione finirebbe per naufragare ancora prima di iniziare. Quindi, oggi più che mai è necessario approcciare questi delicati processi most of all per perseguire scopi commerciali e non per detassare gli utili. Queste norme nascono per contrastare i comportamenti fiscali distorti ormai abituali delle nostre imprese, che ancora oggi internazionalizzano davvero poco. Delocalizzazione dovrà voler dire sempre più delocalizzazione commerciale, non fiscale delle nostre imprese.


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